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Non di rado,
in prossimità del termine ultimo per il versamento Iva, si assiste al cambio di
amministratore della società. Ciò in molti casi perchè, nella consapevolezza
della possibile commissione del reato tributario, si decide di intestare la
rappresentanza dell’impresa (e con essa la responsabilità) ad un nuovo
amministratore (generalmente una “testa di legno” accondiscendente).

Si può ancora verificare che la società nel frattempo sia soggetta a procedure
di liquidazione, di ristrutturazione, pre-fallimentari o fallimentari e che
quindi, comunque, la rappresentanza di diritto della società passi ad un nuovo
soggetto (curatore, liquidatore, commissario).

In tutte queste ipotesi è interessante capire se sia responsabile del reato di
omesso versamento dell’Iva, successivamente consumato, il vecchio o il nuovo
rappresentante.

La Corte di Cassazione ha affermato (sentenza 12268/13) che non può ritenersi
estraneo al reato colui che rappresentava la società nel periodo antecedente
alla scadenza del termine per il versamento, poichè la sua condotta potrebbe
aver fornito un contributo causale alla commissione del fatto, creando
materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento. Infatti, le
somme incassate a titolo di Iva, sono destinate ad essere versate all’Erario e
non sono nella libera disponibilità del contribuente che dovrebbe, invece,
accantonarle, se non provvede al versamento periodico mensile o trimestrale.

Di avviso parzialmente diverso appare la sentenza 12248/14, secondo cui l’ex
amministratore può essere condannato per omesso versamento dell’Iva, solo con
la prova che si è dimesso proprio per non saldare il debito col Fisco. Per il
soggetto non più formalmente in condizioni di poter adempiere, bisogna
accertare l’esistenza di specifici elementi probatori, da cui desumere che la
pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’Iva e che a tale scopo
fossero destinati i mancati accantonamenti dell’imposta.

Per quanto riguarda, invece, la posizione del nuovo amministratore, subentrato
proprio in prossimità della scadenza, esso sarà sempre responsabile penalmente.
Infatti, l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune
esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime
dichiarazioni dei redditi. Ove ciò non avvenga, è evidente che colui che
subentri nelle quote e assuma la carica, si espone volontariamente a tutte le
conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

Si ricorda, altresì, che in caso di imputazione per il reato di omesso
versamento Iva, il soggetto potrà difendersi dimostrando che l’impresa versi in
un grave stato di crisi. È infatti ormai piuttosto diffuso – pur essendo non
univoco – sia nella giurisprudenza di merito, sia di legittimità, il principio
per cui la crisi dell’impresa, se effettivamente dimostrata, è idonea a
scriminare il reato di omesso versamento dell’Iva (Cassazione, sentenze
2614/14, 14953/14 e 27676/14).

È chiaro, infatti, che la comprovata situazione di difficoltà economica escluda
l’elemento psicologico del reato (ovvero il dolo, coscienza e volontà di non
versare l’imposta) richiesto ai fini dell’integrazione di tale illecito penale.


Evidentemente, però, occorre provare l’effettivo stato di difficoltà e non
strumentalizzare la crisi solo al fine di evitare il reato.

Inoltre, la crisi economica e la conseguente carenza di liquidità, possono
valere come scriminanti solo se sono determinate da eventi eccezionali e
imprevedibili e risultano di dimensioni rilevanti.



 

 

 

 

 

 

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