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La libera circolazione copre ormai il 90% di beni e servizi tra i Paesi firmatari
Alleanze regionali sì, purché guardino lontano, verso mercati che
sfuggono alla
morsa della crisi o almeno ne siano investiti con meno
veemenza.
L'Alleanza del Pacifico pare riuscita in quest'intento: quattro
Paesi
latinoamericani, Colombia, Messico, Perù e Cile, hanno annunciato
due anni fa
un accordo di cooperazione e i risultati per ora sono confortanti.
È stata
conseguita la libera circolazione del 90% dei beni e servizi
prodotti dai Paesi
membri. Liberalizzazione anche per i capitali e libero accesso alle
persone che
possono viaggiare senza visto di ingresso.
Un buon risultato se si guarda alla costituzione recente
dell'accordo:
annunciata a Lima due anni fa, l'Alleanza del Pacifico è stata
formalmente
costituita in Cile solo un anno fa, nel giugno 2012. La scelta
della località
non è stata casuale: Antofagasta, in Cile, presso l'Osservatorio
astronomico, a
2600 metri di altitudine. «Un Osservatorio astronomico, per poter
guardare
lontano», dice un economista che ha partecipato ai lavori. E
infatti l'idea
della "Alianza del Pacifico", questa la dicitura ufficiale, è
proprio
di guardare lontano. Oltre ai quattro membri vi sono infatti molti
Paesi
"osservatori": Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Canada, Spagna.
E,
nella regione latinoamericana, Costa Rica, Uruguay e
Guatemala.
Uno degli animatori di quest'accordo di libero scambio è il
presidente cileno
Sebastian Pinera secondo cui il primo obiettivo è aumentare la
crescita, lo
sviluppo e la competitività di questi quattro Paesi che,
congiuntamente,
producono un Pil annuo superiore a 2 miliardi di dollari. Oltre
che, dice
Pinera, ridurre la disuguaglianza, e ottenere una maggiore
inclusione sociale
per 210 milioni di cittadini (la somma degli abitanti dei quattro
Paesi).
Alleanze liberiste o dirigiste
L'Alleanza del Pacifico mira al libero commercio ma non solo. Si
tratta di una
visione condivisa, tra i Paesi membri, in merito al modello di
sviluppo scelto
e ai metodi per raggiungerlo. Vale la pena ricordare che tre dei
quattro
presidenti dei Paesi soci sono apertamente liberisti (oltre a
Pinera, il
messicano Felipe Calderon e il colombiano Juan Manuel Santos)
mentre il
peruviano Ollanta Humala è poco codificabile secondo le categorie
politiche
europee e latinoamericane. I fautori dell'Alleanza del Pacifico,
nei loro
statuti costitutivi, rimarcano che non si tratta di un'accordo
ideologico e
tanto meno di una contrapposizione agli altri blocchi regionali
formati negli
ultimi 15 anni. Tra questi il Mercosur (Mercado comun del Sur), i
cui soci sono
Argentina, Brasile, Venezuela, Uruguay, Paraguay (quest'ultimo
sospeso negli
scorsi mesi). E poi l'Alba (Alianza bolivariana per i popoli delle
Americhe)
fortemente voluta dall'ex presidente venezuelano Hugo Chavez, a cui
hanno
aderito, oltre al Venezuela, Bolivia, Cuba, Ecuador e
Nicaragua.
Unioni doganali che in verità prevedono visioni piuttosto diverse:
Mercosur e
Alba sono più dirigiste ed escludenti dei Paesi non membri, mentre
l'Alleanza
del Pacifico è aperta a siglare accordi con più Paesi possibile. In
altre
parole, due politiche commerciali antagoniste: la prima vede il
commercio come
un'attività da regolamentare e ordinare in modo stringente; non
solo, viene
interpretata come un'opportunità da cogliere comunque.
Una prima decisione, pur simbolica, è stato quella di favorire, tra
i Paesi
dell'Alleanza del Pacifico, l'interscambio degli studenti che, già
ora, possono
frequentare semestri o trimestri in un'altra università, in uno
qualsiasi dei
quattro Paesi.
L'Alleanza del Pacifico ha varato un'iniziativa interessante anche
riguardo ai
rapporti internazionali con l'Africa. Entro breve aprirà in Ghana
un'ambasciata
comune per i quattro Paesi soci. Ogni Paese nominerà un
ambasciatore che, a
turno, reggerà la sede di Accra, capitale del Ghana.
Le economie di questi Paesi a vocazione liberista hanno patito la
crisi
internazionale in modo meno pesante: nel 2012 il Cile è cresciuto
del 5,6%, il
Perù del 6,2%, la Colombia del 4%, il Messico del 3,9%. Crescita
sostenuta,
tanto che la media del Pil dei quattro soci è superiore a quella
della regione
e superiore a quella mondiale. Anche se va rilevato che buona parte
del Pil è
imputabile agli introiti derivanti dall'esportazione di materie
prime, i cui
prezzi sui mercati internazionali sono rimasti elevati. A dispetto
della crisi
che attraversa l'Europa, l'Alleanza del Pacifico guarda all'Unione
europea come
a un modello da seguire. Ne parla così il ministro del Commercio
estero del
Perù, José Luis Silva, secondo cui «l'obiettivo è raggiungere
un'area di libero
scambio dove persone, capitali e merci si possano muovere
liberamente».
Interesse anche dall'altra sponda dell'Oceano, Atlantico, stavolta.
Il
presidente spagnolo Mariano Rajoy ha mostrato interesse e rimarcato
le
condizioni favorevoli che i Paesi membri dell'Alleanza offrono a
chi intende
investire nei loro territori.
La sfida tra Messico e Brasile
Da non sottovalutare, infine, l'intenzione geopolitica
dell'Alleanza del
Pacifico. La concorrenza tra Messico e Brasile. Il Messico, Paese
membro la cui
è economia è sempre stata molto forte in America Latina, negli
ultimi dieci
anni ha patito la pressione del Brasile, la cui crescita è stata
vigorosa. I
due Paesi si contendono primati e leadership; le maquiladoras
messicane
(fabbriche di assemblaggio) sono il punto di forza di un Paese
considerato la
piattaforma per l'export verso gli Stati Uniti ma negli ultimi anni
la capacità
di diversificare la produzione, mostrata dal Brasile, è stata
possente: soia,
carne bovina, agricoltura, cacao, tabacco, biocombustibili, auto,
petrolio,
tlc, sono i settori la cui forza è decuplicata in pochi anni.
Afflitto dalla piaga del narcotraffico che ha provocato 60mila
morti in dieci
anni, il Messico è diventato il Paese delle brutte notizie. Il
Brasile di
quelle buone. Anche se, nelle ultime settimane, pare che qualcosa
si stia
inceppando anche in Brasile. Rallentamento fisiologico o crisi? Gli
economisti
sono divisi.
L'Alleanza del Pacifico potrebbe riequilibrare i rapporti economici
e politici
tra i due giganti sudamericani. Almeno nelle intenzioni dei Paesi
fondatori.
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