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  • L'esterovestizione impone la prova della sede italiana

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Massimo rigore per dimostrare la sede effettiva in Italia di una società estera. E
l'onere della prova grava esclusivamente sull'amministrazione finanziaria. A
stabilirlo è la sentenza 125/03/2013 della Ctp Varese sul ricorso di una
società con sede in Burkina Faso con soci, amministratori e direttore generale,
tutti di nazionalità italiana.

Durante una verifica presso alcune aziende con sede in Italia, la Guardia di
Finanza aveva acquisito vari documenti relativi a una società di diritto
burkinese, operante nel settore del l'import-export. Il Fisco aveva allora
ritenuto che la società estera avesse effettiva sede nel varesotto e aveva
emesso a suo carico avvisi di accertamento dei redditi per le ultime tre
annualità, determinandoli induttivamente, in considerazione del l'omessa
dichiarazione, con liquidazione conseguente di Ires, Irap, sanzioni e
interessi.

Il legale rappresentante della società burkinese e tutti i soci avevano
presentato ricorso, contestando che potesse dirsi dimostrata
l'esterovestizione. In primo luogo avevano lamentato che la notifica degli atti
non era stata eseguita nella sede legale della società, in Burkina Faso,
articolando poi i motivi di merito. Ma la Ctp di Varese ha esaminato subito i
dati utilizzati dall'ufficio per affermare che la sede effettiva della società
sia in Italia; la prova della fittizietà della sede legale avrebbe comunque
reso superflua la notifica presso di essa.

I giudici tributari evidenziano che la società era stata costituita con atto
notarile nello Stato straniero, dove fin dalla fondazione aveva mantenuto la
stessa sede legale; i bilanci certificati erano stati sempre depositati in
Burkina Faso e a quello Stato erano state regolarmente versate le imposte,
senza godere di tassazione agevolata; organi statutari, personale dipendente e
uffici venivano indicati da tutta la documentazione come stanziati nello stesso
luogo.

Per accreditare l'ipotesi delle Entrate non è stato ritenuto sufficiente che
soci, amministratori e dirigenti fossero italiani e che alcuni di essi avessero
con loro documenti relativi all'attività sociale. Alcune fatture e vari
prospetti di pagamento erano stati trovati su una scrivania di un locale dove
lavorava una persona che era anche il legale rappresentante della società
burkinese, mentre ordini di bonifico, promemoria e relazioni di gestione erano
stati trovati in un altro locale utilizzato da un soggetto che rivestiva nella
società il ruolo di direttore generale con funzioni di co-amministrazione.

Queste circostanze, secondo i giudici tributari, non dimostrano univocamente
che la sede amministrativa sia in Italia, ma al più che i responsabili della
gestione portano con sé la documentazione più rilevante, ciascuno nei luoghi
dove svolge un'altra attività lavorativa. Il fatto che vari documenti erano in
possesso dei soci, potrebbe poi essere sintomatico di una dettagliata e
costante informazione sulle scelte di gestione.

L'ufficio accertatore deve inoltre essere in grado di indicare in maniera
univoca quale sia la sede stabile della società in territorio italiano. La Ctp
di Varese segnala che in questa vicenda la documentazione era stata ritrovata
in luoghi diversi e non era ben chiaro in quale di essi sarebbe stata formata e
custodita

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