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Se le tasse fossero l'unico metro di giudizio per dire quali
investitori italiani
all'estero hanno scelto il posto giusto dove andare, il premio
andrebbe ai
nostri imprenditori in Turchia. Perché oltre a essere uno dei Paesi
emergenti
più frizzanti, fra le prime dieci mete preferite dalla
delocalizzazione made in
Italy è quello con il tax rate più basso.
Stando all'ultima edizione del «Doing Business», Ankara impone alle
imprese una
tassazione complessiva (dalla corporate tax ai contributi
lavorativi) del 40,2%
sul totale dei profitti, che pone il Paese al 71° posto della
classifica
mondiale. Oltre 60 gradini più in alto dell'Italia, al 138° posto
con un tax
rate del 65,8 per cento.
Parecchio vantaggiose per noi italiani sono anche le
delocalizzazioni in Slovenia,
una destinazione che non è fra le nostre prime dieci al mondo, ma
che per le
imprese del Nord-Est ha un fascino indiscusso. Qui la tassazione
complessiva è
al 32,5% e il Paese è al 54° posto nella classifica mondiale.
Dal canto suo la Romania, che è la prima meta degli investimenti
made in Italy
all'estero quanto meno per numero di imprese, ha un tax rate
competitivo, al
42,9%. Peccato però che nella classifica mondiale della convenienza
fiscale sia
solo 134esima, praticamente al nostro pari. Solo che noi eccediamo
in tasse,
loro invece in burocrazia: ben 39 le scadenze fiscali in un anno,
contro le 15
delle imprese italiane. Meglio allora andare in Polonia, dove il
tax rate
complessivo è al 41,6%, anche se poi nella classifica dei Paesi ci
supera solo
di 25 posizioni.
Certo, nell'Europa dell'Est ci sono campioni della tassazione
imbattibili.
Prendiamo la Bulgaria: oltre ad avere una delle dieci corporate tax
più basse
del mondo (al 10%), vanta un tax rate complessivo del 27,7 per
cento. Molto più
basso anche della Turchia e della Slovenia. Peccato, però, che
nella classifica
mondiale sia messa peggio di loro, all'81° posto: tutta colpa delle
454 ore che
un'impresa impiega ogni anno a compilare moduli e stare in fila per
pagare le
tasse (da noi, dove comunque sono tante, sono la metà).
E i Bric, cioè le teste di serie dei Paesi emergenti? A quanto
pare, la loro
competitività non passa affatto dalle tasse. Il Brasile è 159°
nella classifica
mondiale e ha un tax rate del 68,3%, peggio del nostro. L'India è
più indietro
di noi nella classifica (158esima), e quanto a tasso totale ci
batte di poco,
con il suo 62,8 per cento. E anche la locomotiva cinese su di noi
ha sì un
vantaggio, ma risicato: 63,7% di tax rate, 120esima in
classifica.
Dei quattro grandi emergenti, solo la Russia fa bella figura, con
un peso
fiscale sui profitti d'impresa al 50,7% e un'invidiabile 56esima
posizione in
classifica. Il segreto del suo successo? La semplificazione
burocratica.
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